
“Lu Stazzu Gaddùresu”
storia e particolarità di una proprietà unica nel suo genere
Lo Stazzo Gallurese è stato il fulcro della vita agropastorale per centinaia di anni.
Oggi, “Lu Stazzu Gaddùresu” rappresenta uno dei segni distintivi della regione storica della Gallura.
«stazzo s. m. [dal latino statio «lo stare, dimora»] – Luogo di sosta o di dimora, in genere»
Treccani
Con il termine “Stazzo” ci si riferisce all’intera proprietà. Essa includeva: la dimora del proprietario e un importante appezzamento di terreno. che raggiungeva anche i 300 ettari.
Queste proprietà nascevano principalmente in aperta campagna ed erano il fulcro della vita rurale.
La civiltà degli stazzi era autarchica: i pastori-agricoltori che li abitavano erano del tutto autosufficienti e vivevano del raccolto e di pastorizia.
Un insieme di Stazzi formava la “Cussogghja”, un’entità geografica e sociale unita da vincoli molto forti di amicizia e collaborazione. Ciascuna “Cussogghja” faceva capo a una chiesa campestre, punto di incontro e di riferimento per la comunità.
Ai tempi, con il termine “Chiesa” ci si riferiva al paese, inteso come insediamento, e non a un luogo di culto.
La nascita della civiltà degli stazzi
La nascita dei primi Stazzi si verifica alla fine del XVII secolo. Faide e problemi politici portarono numerosi pastori corsi a lasciare la loro isola per rifugiarsi in Gallura.
Negli stessi anni nasce anche il dialetto gallurese, dialetto sardo che ha risentito molto dell’influenza corsa.
In Sardegna si parlano ancora oggi molti dialetti: gallurese, cagliaritano, logudorese (e molti altri), tutti molto diversi tra loro.
Queste dimore vedono un importante sviluppo durante tutto il XIX secolo e raggiungono una massima espansione intorno al 1850.
Sino a quel momento la popolazione viveva solo nelle campagne dell’entroterra.
Le coste erano considerati luoghi poco sicuri, con terreni infruttiferi, e per questo lasciati in eredità alle donne.
A partire dalla fine del XVIII secolo questa tendenza vede una forte inversione. Si verifica infatti un incremento di flussi migratori dai villaggi verso le coste, divenute ormai più sicure.
Tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, invece, nascono nuovi paesi e piccoli insediamenti al di fuori delle campagne. Questi luoghi saranno meta, nel dopoguerra, di una uova ondata migratoria che porterà la maggior parte della popolazione delle campagne a stabilirvisi.
Stazzo Gallurese: una proprietà, mille risorse
Architettura:
L’architettura della dimora dello stazzo era molto semplice: una pianta rettangolare, ambienti interni con volumi strutturali ben precisi e che si sviluppavano longitudinalmente. I muri perimetrali erano in granito, piuttosto spessi, e il tetto a doppio spiovente.
Lo Stazzo Gallurese misurava generalmente 6 metri di larghezza e circa 10/12 metri in lunghezza.
La struttura originaria prevedeva un unico vano detto “la camera” o “appusentu” che serviva contemporaneamente da cucina, camera da letto e da ambiente di lavoro.
Caratterizzata da un arredamento semplice ma funzionale e con il focolare posto al centro della stanza.
Lo sviluppo attuato negli anni, ha portato queste costruzioni a un’espansione degli ambienti pur mantenendo gli stessi volumi interni.
Le strutture bicellulari, formate cioè da due camere, ospitavano il forno (“Lu Furru”), anziché il focolare, e una camera aggiuntiva costruita longitudinalmente. Il forno veniva costruito addossato alla parete della stanza principale.
Particolarità della struttura dello Stazzo Gallurese è senza dubbio il tetto: la “Traitólta”, trave portante della struttura del tetto ricavata da lunghi legni di olivastro (o di ginepro) che venivano fatti crescere in maniera che potessero svolgere questa particolare funzione.
Il tetto a doppio spiovente era costituito da una copertura detta “La Catèna”.
La Catèna si componeva (in ordine dall’interno verso lo strato esterno) di: “La Traitólta”; “Li Trài” (le travi); “Li Traizèddi” (i travicelli); “L’incannizzàtu” (l’incannicciato, graticcio di canne legate con giunchi. Fungeva da isolante ); “L’intarràzzu” (la terra); infine “Li Tèuli” (le tegole).
Interni:
Nello Stazzo Gallurese ogni componente aveva una funzione ben precisa e nulla era lasciato al caso: La civiltà degli stazzi era infatti autarchica.
Le famiglie erano del tutto autosufficienti, vivevano dei frutti del raccolto e dei prodotti del bestiame, come ad esempio i latticini.
Macinavano il grano e infornavano giornalmente il pane, filavano la lana e tessevano a telaio e facevano il formaggio con il latte prodotto dal bestiame.
Gli stessi utensili necessari allo svolgimento delle mansioni giornaliere erano artigianali.
La cucina, come si può immaginare, era il fulcro della vita domestica.
Era generalmente l’ambiente più ampio e meglio attrezzato: utensili artigianali e un tavolo (“la banca”) usato sia come piano di lavoro che per i consumare i pasti quotidiani.
Aree esterne:
Anche le zone esterne dello stazzo prendevano nomi diversi a seconda di dove erano rivolte:
“Lu Pasturizzàli”, rivolto a sud, era la zona rivolta verso l’entrata della proprietà.
Lo stazzo si affacciava sempre su una strada principale che lo collegava alla Cussogghja.
Lu Pasturizzàli era sempre esposto dal lato più soleggiato. Lungo il vialetto di entrata ospitava diverse piante da fiori, aromatiche, medicinali e qualche albero da frutto.
Rivolto a ovest, sul retro dell’abitazione, si trovava “Lu Caponi”: gli anziani usavano passare qui le serate in compagnia, dopo il calar del sole, seduti su “la strada”.
“La Strada” era una panchina posizionata sulla parete esterna dell’abitazione usata sia come panchina che come sostegno per montare a cavallo.
Anche Lu Caponi ospitava diverse piante aromatiche, un “pista sali” (per pestare il sale grosso) e un mortaio, per macinare le spezie.
Un elemento importante presente sia nel “Lu pasturizzàli” che nel “Lu caponi” era “Lu pisatoggju”.
Di cosa si tratta? Lu pisatoggju non era altro che l’antenato dei moderni frigoriferi!
Era una semplice mensola in pietra, posizionata a un altezza tale che gli animali non riuscissero a raggiungerla.
Il Pisatoggju serviva ad appoggiare il recipiente con il latte fresco munto in giornata.
In base al momento della giornata in cui veniva munto, veniva lasciato sul pisatoggju posto sul fronte o sul retro dell’abitazione. L’importante era tenerlo al riparo dalla luce del sole, così da poterlo lavorare il giorno successivo per fare il formaggio!
Al termine del suo utilizzo, il recipiente si lavava e veniva lasciato asciugare su “La Frestina”, una rastrelliera artigianale usata per scolare recipienti e utensili da cucina.
Generalmente ce n’era una posizionata anche all’interno, in cucina.
Attività negli Stazzi Galluresi:
Gli spazi adiacenti all’abitazione venivano sfruttati per coltivare e per il bestiame.
Gli animali venivano tenuti nei recinti durante il giorno e la sera venivano spostati in piccoli ripari, spesso costruiti in pietra, per proteggerli dal forte vento o dalle intemperie.
L’area coltivata invece era suddivisa tra l’orto, il frutteto e i campi in cui si coltivava il grano. Il grano aveva una raccolta molto particolare e impegnativa.
Nella proprietà c’era anche un magazzino, luogo in cui il raccolto veniva riposto e conservato prima del suo utilizzo.
Il grano veniva invece conservato nella “Luscia”, silos creati appositamente per la conservazione dei cereali.
Ogni stazzo ospitava poi anche una piccola vigna, per la produzione del vino.
La vendemmia, che si svolgeva generalmente a settembre, era un vero e proprio momento di festa e aggregazione sociale: il proprietario invitava amici e parenti e lo stazzo si trasformava in una sorta di grande cucina dove, fin dal mattino, le donne preparavano da mangiare mentre uomini e ragazzi raccoglievano l’uva matura tra i filari e la riponevano poi a fermentare.
Allo steso modo si svolgeva anche la raccolta delle olive per la produzione di olio.
Con l’olio e “Lu Listincu”, il frutto della pianta del Lentisco, si produceva l’olio di lentisco, olio aromatico utilizzato nei condimenti alimentari e in particolare della carne, alla quale donava un sapore particolare.
Il lentisco è un arbusto sempreverde tipico della macchia mediterranea, molto diffuso in Sardegna, dove cresce spontaneo.
Gli stazzi, vera e propria eredità dalla tradizione sarda, stanno oggi acquistando nuova vita : attraverso operazioni di restauro conservativo è possibile rinnovare queste abitazioni, mantenendo però la struttura originaria.
Lo Stazzo Gallurese è oggi considerato una vera e propria chicca per chi viene in Gallura e cerca un immobile unico nel suo genere!
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Per altre informazioni sullo Stazzo Gallurese “Lu Eldi” in copertina, visita il sito ufficiale!
Toninu ‘asa di La Trinitài
su ha detto
Da Lu Stazzu di Lu Eldi
La stirrùta (di un poeta Aggjèsu)
Matalena e Antoni ‘Asa
fattu v’eti bedda casa
In cussì bedd’appusentu
lu stragnu v’anda cuntentu
Una o l’alta di ghisti dì
ghjà vi passu a mezudì
apprunteti un caprittu
palchì sogu d’appittittu
si invecci vuleti fa la suppa
appruntetini una cuppa…
sidd’è ancora mazzafrissa
la cantitai è sempri chissa…
un beddu fiascu di ‘inu nieddu
cu un’altu di muscateddu…
a accumpagnà li papassini
piricchitti e casgiatini…
(Lu muto di Gaddhura)
Antoni ‘asa
su ha detto
La turràta (d’un poèta Trinitaièsu)
Sia a me che a me’ mudderi
Si veni gja’ zi fazi piazeri
Paro’ no ti cazzi chiss’ulmina
Chi nudda valimmu in cuzina
Ne suppa e ne carri caprittini
Ne ciusoni e ne taddarini
No semmu a lu livellu toiu
Tuttu lu più un’oa a occi di boiu…
Siddu vulemmu magna’ be’
Toccara’ a vini’ und’e te…
Suppa, bruglioni e carri capruna
Di sicuru no ambaremmu a la diuna…
(Un parènti custrìntu)
Emilio
su ha detto
La storia de su Stazzu mi è piaciuto molto spiegato molto bene non la conoscevo Grazia
Giovanni Maria Contini
su ha detto
Splendida descrizione di una storia poco conosciuta anche a tanti sardi grazie mi avete fatto tornare alla mia infanzia